giovedì 2 ottobre 2008

Sono un fallito coi fiocchi

(Foto di Gillipixel)

Sono belli e strani quei libri che risuonano di altri libri. Quei libri che parlano con devozione di altri libri. Che esprimono l'affetto che non si può non provare per loro illustri consimili. Quando li leggi ti sembra di passare da una stanza all'altra di un edificio che non finisce mai di riservarti sorprese e promesse di bellezza a venire. Tutto sommato, credo che il motivo ultimo e più importante del mio amore per i libri stia nel fatto che riescono sempre a farmi stare bene. D'accordo, c'è pure il divertimento, il passatempo, la sete di conoscenza.
Anche una punta di snobismo, ce la posso mettere. Oppure ancora le mille opportunità che la lettura offre di difendersi dalla timidezza provata verso la vita cosiddetta reale. Ma alla fine, anche se la frase è alquanto ritrita, la cosa che conta penso sia questa: leggere è un linimento per l'anima. Ricordo di aver sentito una frase di Giulio Andreotti a riguardo. Diceva di non aver mai passato in tutte le sue giornate guai o problemi così grandi da non poter essere accantonati per un po' con la lettura serale di qualche buona pagina. E se lo dice lui, c'è da crederci. Ecco allora, se un bel libro è tutta questa roba, i bei libri che
parlano di altri bei libri sono "il sabato del villaggio" del lettore.
Ti dicono che la lettura non si fermerà all'ultima pagina di quello scritto che hai in mano, ma è invece tutta una catena esalante di bellezza, un riverbero di emozioni che si mettono in risonanza vicendevolmente, un pregustare nuovi attimi futuri di armonia con il tutto, che scaturiranno ancora una volta con inspiegato stupore dall'apparente banalità di pochi sghiribizzi neri segnati sulla pagina.
L'ultimo bel libro che parla di altri libri nel quale sono piacevolmente incappato è "Leggere Lolita a Teheran", di Azar Nafisi (già citato qui qualche giorno fa). A dire il vero, non ne ho ancora terminato la lettura e intorno a pagina 100 mi era pure venuta una mezza voglia di abbandonarlo. Ultimamente ho lasciato a metà la lettura di troppi libri. E' vero che questa è una prerogativa leggittima del lettore, come afferma Daniel Pennac. Ma quando ti succede, e con una certa frequenza per di più, ti rimane sempre in bocca un gusto spiacevole. A volte non è tanto la scarsa qualità del libro a far decidere per l'abbandono.
E' più la mancanza di pazienza del lettore, la sua poca attitudine del momento a prestare ascolto nel modo dovuto alla voce narrante. E per fortuna, devo dire, che stavolta ho tenuto duro con il libro di Anazar Nafisi. Mi sarei perso ad esempio il godimento estetico procurato dal seguente passo, che deflagra di intensità narrativa sulla "...definizione [...] che Lambert Strether, il protagonista degli Ambasciatori di James, usa per descrivere se stesso alla sua amica del cuore, Maria Gostrey: "Io sono un fallito coi fiocchi." [...] e vuoi sapere lei come risponde? "Grazie al cielo. Per questo la stimo tanto! Qualunque altra cosa al giorno d'oggi sarebbe orribile. Si guardi attorno, guardi la gente di successo. Vorrebbe essere uno di loro, onestamente? Del resto", continuò, "guardi me". Per un attimo i loro occhi si incontrarono. "Capisco", rispose Strether. "Anche lei si tiene fuori". "
"La superiorità che lei scorge in me" convenne Miss Gotrey "annuncia la mia futilità. Se sapesse," sospirò "i sogni di gioventù! Ma sono le nostre realtà ad averci avvicinato. Siamo compagni d'arme sconfitti".
Un giorno [...] scriverò un saggio intitolato Falliti coi fiocchi. Parlerò dell'importanza di figure femminili nella letteratura, soprattutto moderna. Penso a questo tipo di personaggio come a qualcosa di vicino alla tragedia - che a volte tende al comico, a volte al patetico, oppure entrambi. Mi verrebbe in mente Don Chisciotte, ma il personaggio al quale penso è più moderno, e soprattutto è figlio di un'epoca ambigua, dove la sconfitta a suo modo è un successo. Vediamo, Pnin* è calzante e anche Herzog**, e forse Gatsby***, ma forse no - dopotutto, lui la sconfitta non la sceglie. Parecchi tra i personaggi preferiti di James e Bellow rientrano in questa categoria. Sono persone che scelgono consapevolmente la sconfitta, pur di conservare la propria integrità. Sono elitari, non semplici snob; hanno punti di riferimento molto alti. James, credo, si sentiva uno di loro, per via dei suoi romanzi che la gente non capiva, e per la tenacia con cui insisteva a scrivere nel modo che secondo lui era quello giusto..."
...

Cosa aggiungere di più? Solamente che forse l'avevo sempre intuito, ma fino ad ora non potevo dichiararlo a chiare lettere, ed adesso, grazie ad Henry James e ad Azar Nafisi, me lo posso dire in faccia con gran soddisfazione: io sono un fallito coi fiocchi!

* = "Pnin", Vladimir Nabokov (1957)
** = "Herzog", Saul Bellow (1964)
*** = "The great Gatsby", Francis Scott Fitzgerald (1925)

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