sabato 15 agosto 2009

Ferragosto nichilista


Ciao ragazzi,
Vi dicevo ieri che il Ferragosto mi butta un po' giù, ma che avevo imparato a parare il colpo...
Uhm...la giornata di oggi mi ha un po' smentito.
All'inizio l'avevo presa su piuttosto male, ma poi passando a dare un'occhiata al sempre egregio blog di Galatea, ho letto un bellissimo brano che mi ha fatto andar per pensieri ed ho finito per tirarmi su di morale scrivendo di nichilismo...
Mi è venuto fuori un commento piuttosto lungo, e ho pensato di riportarvelo qui di seguito.

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Dal momento che quando mi vengono a dire che una cosa “bisogna” farla, mi scatta dentro un giramento di sfere che piuttosto che fare quella specifica cosa, andrei in ginocchio da casa mia al Polo (Nord o Sud, a scelta); e siccome che ho sentito dire oggi al tg5 che dalla costa alle cime montuose il verbo è uno solo: “divertirsi”…ecco, oggi piuttosto che divertirmi (tanto più se me lo viene a dire il tg5), mi voglio rompere le balle ben bene e parlare di nichilismo.

Premetto che ho letto con grande piacere il tuo bellissimo brano, Galatea (quando una persona è nata per scrivere, non ci sono storie! Sapresti raccontare la lista della spesa facendo provare comunque sensazioni di bellezza...grande!!!), e ne condivido la sostanza.
Mi è piaciuto soprattutto quando dici che affidarsi alla ragione vuol dire sostenere uno strumento di confronto con la realtà consapevoli di tutte le sue debolezze, ma consapevoli anche che di meglio non abbiamo a disposizione. Questo è il passo fondamentale del tuo brano e nessuna contro-tesi lo potrà mai confutare.
Volevo tuttavia portare un paio di spunti di riflessione in più, anche per sapere il tuo punto di vista in merito.
Una prima cosa che mi viene da dire riguarda le questioni indimostrabili, come è appunto l'esistenza o no di Dio. Ciò che mi viene da dire su questo è che di fronte ad ogni questione indimostrabile non si può fare a meno di porsi con un atteggiamento di fede. Sia che si neghi l'esistenza di Dio, sia che la si affermi, entrambe le tesi necessitano di una scelta fatta su basi indimostrabili, non razionali né “razionalizzabili”.
So che questo ragionamento ha un suo lato debole: è piuttosto contraddittorio in effetti, o perlomeno problematico, sostenere che chi non crede in Dio dovrebbe fornire la dimostrazione di una “inesistenza”. In realtà l'obiezione è di notevole portata, ma per attutirla un po' mi verrebbe da ribattere che una sorta di aspirazione verso l'eterno, verso l'infinità dell'essere, si può considerare pressoché connaturata all'essenza umana.
So che quanto sostengo è ancora più debole, ma in proposito mi viene in mente ad esempio lo stato di trasporto che si prova quando si ama, oppure quando si gode di un'opera d'arte, o ancor più quando si possiede il dono di crearla addirittura un'opera d'arte. Non sono tutti questi indizi che fanno subodorare, sperare, anelare alla possibilità di un superamento della nostra finitezza in questo mondo, ad un possibile travalicamento della nostra mortalità?
A questo punto, tornando a quanto dicevo sopra, dire se questa eternità intuita sia plausibile o no, è questione di fede, qualunque sia una delle due posizioni possibili per cui si opta.
Ma il punto importante, e qui ritorno a cose che hai detto anche tu Galatea, è che qualsiasi delle due posizioni uno scelga, dovrebbe, per così dire, “farsela bastare” senza andare ad aggredire chi la pensa in modo opposto.

Una seconda cosa riguarda proprio la parola “nichilismo”. Se uno analizza con calma il termine nudo e crudo, ossia osservando l'esatta sua radice, si accorge che di per sé non è quella parolaccia come taluni vorrebbero far credere. Deriva dal latino “nihil”, ossia “niente”, “nulla”, lo sa persino un ignorante come me.
In questo senso sì, penso che chi crede che con la morte la nostra esperienza si concluda definitivamente, sia un nichilista. Ma proprio nel senso stretto del termine e senza fare tutte quelle menate scandalistiche, tirando in ballo assurdi paragoni col nazismo e vaccate simili.
Il nichilista è semplicemente, e letteralmente, colui che crede che un giorno dal nostro stato di “essere” passeremo ad uno stato di “nulla”. E qui sorge il “piccolo” dubbio se sostenere questo sia razionale e filosoficamente coerente.
Parmenide (e mica un ignorante come me, si badi bene) sosteneva che il passaggio dall'essere al nulla è un concetto filosoficamente insostenibile. Con le stesse categorie di pensiero, si può bollare di inconsistenza anche l'altro capo della questione, ossia quello di una eventuale creazione: così come l'essere non può mutarsi in nulla, altrettanto assurdo è sostenere che l'essere sia derivato dal nulla, ossia sia stato creato. A rigore filosofico, l'essere non sarebbe un'entità quantitativa una tantum, che in un momento c'è, in un altro momento non c'è, in un posto esiste, nell'altro esiste meno. L'essere è tutto, ed è presente dappertutto e per sempre, ossia è eterno.
Queste tra l'altro sono anche le basi (anche se da me riportate un po' “cagnescamente”) del pensiero di uno dei più grandi filosofi contemporanei, Emanuele Severino.

Insomma, tutto qui, Galatea. Volevo solo portare questo mio piccolo contributo alla questione, ma soprattutto sono fiero di non aver seguito il “verbo” del tg5, e di certo mi sono divertito a scrivere queste righe, ma non nel modo che dicevano loro!

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