sabato 3 dicembre 2011

L’educazione gillipixiale


Il cacciatore di “epifanie” non si spaventa nemmeno di fronte ad ore di lettura faticosa. Quando si affronta un libro universalmente riconosciuto come un classicone della letteratura di tutti i tempi, bisogna avere fiducia, prima o poi la stilla preziosa di saggezza esistenziale gocciola fuori.

A volte vale tutta la fatica, a volte forse no, ma un’epifania del lettore è pur sempre essa stessa, nelle sue modalità di concretizzazione e di comparizione, metafora dei momenti di gioia che possono capitare lungo lo scorrere dei giorni di una persona. Una gioia genuina compare fulminea, dona spesso un senso di pienezza d’animo quasi spasmodica, è totalizzante, s’impadronisce di quel momento attraversando tutte le nostre fibre, da un punto di vista sia fisico che spirituale.

Qualcosa di simile avviene con le “epifanie del lettore”. Sono dardi di verità scagliati all’impazzata contro la barriera della nostra inconsapevolezza riguardo al senso ultimo del vivere. Sono squarci di luce vividissima, che sbaragliano per una frazione di tempo le barriere del senso comune, traducendo in parole lineari, conoscenze che già risiedevano nel profondo di noi stessi, ma che mai erano riuscite a salire a galla per respirare a fondo la vivificante aria della meraviglia pura.

Ma al di là di tutte queste suggestioni, cosa è successo in pratica? Avevo già accennato che mi sto cimentando con la difficoltosa lettura di un capolavoro senza tempo, «L’educazione sentimentale» di Gustave Falubert. Si è trattato di una prova veramente ardua, e ancora non ho terminato. Il testo a tratti è abbastanza pesante, si perde in meandri descrittivi stucchevoli, si addentra in dettagli storici noiosi (almeno, per come la vedo e la sento io…). Di certo, letture di simile complessità andrebbero affrontate con una preparazione critica e storica accurate e non muovendosi allo sbaraglio, come ho fatto io.

Nonostante queste mie limitazioni di approccio, sono ad ogni modo riuscito a cogliere quanto il valore letterario sia innegabile in questa opera. Si sente, e non sta certo a me dirlo: la costruzione viene giostrata con grande maestria, lo stile lascia ammirati, tanto lo si scopre impeccabile e congeniale ai contenuti. Insomma: una lettura che sono contento di aver affrontato. Però ancor più contento mi sono sentito incappando in due particolari passi, che mi hanno parlato di me, mi hanno detto cose che nella loro universalità sento molto anche mie. E questi passi, dicendo di queste cose, me ne hanno evocate altre, per associazione concettuale, per senso di affinità esistenziale.

I due brani sono piuttosto distanti fra loro, nel corso del testo, ma a mio avviso si abbinano mirabilmente per attinenza argomentativa. Parlano del rivelarsi agli altri, soprattutto con i due mezzi privilegiati di cui disponiamo per aprire il nostro animo: la parola scritta e quella parlata. Parlano di come la necessità di trovare una vera fusione con gli altri, la genuina comprensione reciproca, si riveli regolarmente ed inevitabilmente un compito pressoché impossibile, ma al quale nessun essere umano vorrà mai rinunciare. Parlano addirittura delle frustrazioni di un blogger, ebbene sì, anche di questo.

Parlano di come tutto questo venga amplificato dalla constatazione di quanto sia altrettanto difficile spiegare a se stessi il proprio medesimo animo. Parlano del continuo, involontario, eppure inevitabile, “inganno” che la nostra natura di uomini ci impone di condurre quotidianamente nello scambio sociale. Anche quando (per fortuna la maggioranza dei casi…) non è per malafede, non per malvagità, non per secondi fini. Ma per l’inevitabilità che accompagna l’«inconoscibile», celato nelle più remote profondità dell’essenza degli umani.

Ecco il primo, epifanico passaggio:

«…A furia di scrivere tutti i giorni su ogni genere di argomenti, di leggere una quantità di giornali, di ascoltare continuamente discussioni e di emettere continuamente paradossi per far colpo su qualcuno, aveva finito col perdere l’esatta nozione delle cose, accecandosi da solo con i suoi poveri petardi…».

Ed ecco il secondo:

«…Voleva lasciar intendere, con queste parole, parecchi successi, per dare di se stesso un’opinione migliore, così come Rosannette non gli confessava tutti i suoi amanti perché lui la stimasse di più. Ci sono sempre, anche nel mezzo delle confidenze più intime, di queste restrizioni; per falso pudore, delicatezza, pietà. Nell’altro, o in se stessi, si scoprono vuoti vertiginosi, tratti di fango che impediscono di andare avanti; ci si rende conto che non si sarebbe capiti; esprimere qualcosa con esattezza è sempre così difficile. Per questo le unioni complete sono tanto rare…».

“L’educazione sentimentale”
Gustave Flaubert - 1869

2 commenti:

farlocca farlocchissima ha detto...

bellissimi i due brani, sopratutto il secondo. proprio in questo periodo in cui mi posso permettere di essere "me" senza remore e nascondimenti, ne sento e ne vedo tutta la verità.

bacini molto contenti

Gillipixel ha detto...

@->Farly: è vero, cara Farly, quando si incontra la persona con la quale puoi si andare il più vicino possibile ad un vero "disvelamento" di se stessi, è una gioia incomparabile...rmango convinto che fino in fondo l'operazione non riesca praticamente mai, ma più ci si va vicino e più si sfiora l'estasi :-)

Bacini monocratici :-)