martedì 23 ottobre 2012

Il primo dei nostri venerdì


Secondo quanto si evince dalla Genesi, l’uomo dev’esser stato creato di venerdì. O nel giorno che grosso modo dovrebbe corrispondere all’«occidentale» venerdì. La voce narrante biblica parla di sesto giorno, mentre mezzo paragrafo più avanti, racconta che appena 24 ore dopo Dio si riposò.

Nella tradizione ebraica, l’inizio settimana s’inaugura in domenica, seppur non denominata in questo modo, ovviamente. Da lì, i giorni sono semplicemente numerati (il giorno uno corrisponde appunto, come posizione, alla domenica cristiana; il due, al lunedì; il tre, al martedì; ecc.), sino al settimo, che prende il nome di sabato, in occasione del quale, com’è noto, cade la festività settimanale ebraica. Altra constatazione curiosa che si desume (sempre sorvolando un po’ di fantasia sui distinguo culturali fra tradizione ebraica e cristiana), è che Dio si mise al lavoro di domenica.

Considerare le iniziali vicende della Genesi come mitologiche, non inficia affatto il discorso della fede. L’essenza propria del mito risiede nel riuscire ad addentrarsi in talune verità fondamentali, pur nella mancanza di riscontri “storico-esistenziali” evidenti. In altre parole, non è fonte di contraddizione credere nella creazione divina da una parte, e nel contempo credere che non sia effettivamente esistito un primo uomo di nome Adamo, con tutte le sue peripezie, Eva, più gli annessi e i connessi ortofrutticoli.

Non è fonte di contraddizione nemmeno credere il contrario, ossia che nessuna delle due cose sia vera. Il mito non è portatore di verità inconfutabili, ma solamente intuibili “empaticamente”. La scienza o la filosofia si propongono d’inseguire verità “di mente”; il mito si occupa delle verità “di pancia” e “di cuore”. Il mito è un cammino poetico indirizzato al disvelamento del “vero”, che si sforza di supplire all’impossibilità di pervenire a quel “vero” per altre strade meno oscure. Più che nei meandri della storia, le verità portate a galla dal mito si nascondono nelle profondità della nostra psiche (gran frase ad effetto quest’ultima, ma per arrivarci è sufficiente prendere la psicanalisi, capovolgerla, ed osservarla dalla parte dei piedi anziché dalla testa).

Il sesto giorno, con un pizzico di licenza meta-storica, corrisponde dunque al venerdì. Sarà un caso che dallo sforzo divino profuso proprio in quel giorno, sia scaturito un essere come l’uomo? Nella giornata di venerdì la gran parte di fatica settimanale è stata spesa. Si va in discesa, la mente proiettata sulla festività imminente, e un che di rilassatezza si diffonde nello spirito.

“Rilassato”: aggettivo evocante piacevolezze, ma anche predisposizione umana ambivalente, a doppio taglio. Essendo stato inventato di venerdì, l’uomo è per indole un rilassato potenzialmente incauto. Se non sta sempre più che attento in tutte le proprie manifestazioni vitali, gli basta un attimo per fare valutazioni di misura errate, andare col piede troppo lungo, o troppo corto, e ritrovarsi col deretano al suolo. Infatti, Dio non fece in tempo a creare Adamo ed Eva che di lì a poco questi ultimi gliene avrebbe combinate più di Bertoldo in Francia.

L’alterigia subdolamente celata fra le pieghe della rilassatezza umana ha poi avuto modo di dispiegarsi in mille fogge nel corso di tutte le epoche a seguire. Per rimanere nel campo dei grandi eventi, mi viene in mente ad esempio l’ultima parte della campagna napoleonica in Russia, vista dalla parte di Napoleone naturalmente. Ma ciascuno potrà fare riferimento anche a certi minimi dettagli del proprio vissuto, per constatare come il rischio della rilassatezza “curtimirante” sia sempre in agguato in tutto il panorama del nostro agire.

La Bibbia è anche uno stupendo libro di storie e inizia praticamente subito con un colpo di scena narrativo stupendo: la separazione della luce dalla tenebra, che in sostanza corrisponde all’invenzione del tempo. A rigore, in ordine di apparizione sono venuti per primi la terra ed il cielo, ossia lo spazio. Ma fino a metà della prima giornata (anche se si è saputo dopo, che fosse “metà della giornata”...) terra e cielo erano statici. Nella narrazione della Genesi, lo spazio puro è allora esistito giusto l’arco di una mattinata. Poi, verso mezzogiorno o giù di lì, si è andato a fondere in indissolubile connubio einsteineino con il tempo. Lo spazio puro, privo di tempo, non lo possiamo concepire, perché la nostra mente è kantianamente sagomata per percepire la realtà sotto un profilo spazio-temporale. Ma l’uomo, in quel breve scorcio di mattinata proto-domenicale momentaneamente priva di tempo, non era ancora giunto in quei paraggi. Nessuna creatura era ancora pronta per percepire e concepire un bel nulla. Solo l’immensità della mente di Dio poteva quindi confrontarsi col vertiginoso concetto dello spazio ancora ignaro del tempo.

Tutte queste suggestioni sono contenute nell’incipit della Bibbia, che è qualcosa di fenomenale:

«...In principio Dio creò il cielo e la terra. Ma la terra era informe e deserta: le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio era sulla superficie delle acque. Dio allora ordinò: “Vi sia la luce”. E vi fu la luce. E Dio vide che quella luce era buona. E separò la luce dalle tenebre. E Dio chiamò la luce giorno e chiamò le tenebre notte. E venne sera, poi venne mattina: questo fu il primo giorno...».

Elie Wiesel, scrittore e premio nobel per la pace 1986, una volta disse che «...Dio ha creato l’uomo perché ama le storie...». L’irrequietezza e la curiosità di Dio in questo senso dovettero manifestarsi già sin dai primi attimi della creazione. Immaginare il suo spirito che, dopo aver aleggiato sulla superficie delle acque, d’un tratto si erge ordinando “Vi sia la luce”, suona di una potenza incredibile. Con razionalistica pedanteria, viene da chiedersi: a chi lo ordinò, se ancora non c’era nessuno in giro? Ma alla realtà stessa! L’uomo, che sarebbe stato l’attore protagonista di tutte le storie a seguire, arrivò soltanto cinque giorni dopo, ma nel frattempo Dio si premurò di allestire per lui un contorno degno della migliore sceneggiatura mai scritta.

Atro passo particolarmente meraviglioso: «...E separò la luce dalle tenebre...». Gesto che è stato compiuto in termini concreti e si è potuto raccontare come reale, una ed una sola volta nel corso di tutta la storia dell’universo. In seguito, ad un simile atto sono state riservate soltanto accezioni metaforiche, come ad esempio nel caso dell’espressione: «...e separò la luce dalle tenebre, invitando gli spettatori del Grande Fratello a spegnere la tele e prendere in mano un buon libro...».

L’incipit della Bibbia mette in rilievo anche l’importanza che ebbe fin da subito l’atto del “nominare”, del siglare le cose con un nome, e quindi, per estensione, del linguaggio. L’attività “nominante” del creatore viene esplicitata soltanto dopo poche righe: «...E Dio chiamò la luce giorno e chiamò le tenebre notte...». E’ lecito tuttavia supporre che lo stesso avvenne con le prime due fondamentali entità create, il cielo e la terra. Anzi, forse è lecito supporre di più: che Dio nominava le cose nel mentre che le creava. «...In principio Dio creò il cielo e la terra...»: il cielo e la terra hanno nome nell’attimo stesso del loro venir creati.

L’osservazione dà adito a tutta una serie di altre suggestioni sorprendenti. Se l’uomo si è sentito in animo d’inserirla in uno dei sui miti più potenti ed universali, l’idea che nel linguaggio risieda un che di “divino” dev’essere veramente qualcosa di percepito molto intensamente nel proprio intimo fin dai lontani primordi. Questo forse “spiega” come mai la “parola” continui a rappresentare una delle dimensioni umane più portentose, tanto da innestarsi con tutto il carico del suo nobile primitivismo, persino nelle più moderne espressioni sociali fondate su strumenti messi a disposizione dall’avanguardia estrema della tecnologia. Cosa altro sono infatti Twitter, Facebook, i blog, se non immense fucine di parole?

Una cosa simile dicasi riguardo a certe considerazioni che ci fanno apparire speciale l’attività di chi in qualche maniera ha a che fare con il mondo delle parole. Perché il leggere, il parlare e lo scrivere, nonostante si tratti di due vecchissimi capitoli dell’agire umano impolverati all’inverosimile dalla patina dei millenni, continuano pur tuttavia a suscitare un fascino ed un senso di “stupore sempre nuovo”, come fossero stati inventati l’altro ieri?

Perché il leggere, il parlare e lo scrivere, oltre a contenere ancora quella remotissima scintilla di divinità, rappresentano anche uno degli atti più vicini al senso del creare, del dar vita a qualcosa di bello. Nell’atto del creare è insita una sete di identificazione con l’altro da sé, che ritrova nello scrivere, nel parlare e nel leggere, alcune delle proprie dimensioni più dissetanti. Se ne deve dedurre dunque che Dio creò il mondo e l’uomo per provare come l’ebbrezza della solitudine sia inevitabilmente fusa al mai placato desiderio di non sentirsi soli? Chi lo sa…

Chiudo per oggi questa prima puntata dedicata alla lettura della Bibbia, citando un piccolo brano di un romanzo scritto secoli e secoli dopo, ma che entra curiosamente in risonanza con i temi accennati sopra. Sentite cosa dice la voce narrante, riguardo ad una delle protagoniste della storia:

«...A Cambridge ha studiato lettere e filosofia e chissà cos’altro con un professore che era una specie di genio pazzoide e si chiamava Wittgenstein ed era convinto che tutto sia parole. Sul serio. Non ti parte la macchina? E’ un problema di linguaggio. Sei incapace d’amare? Sono le spire del linguaggio. Hai il raffreddore? Semplice: costipazione di sedimenti linguistici...».

La scopa del sistema
David Foster Wallace - 1987

4 commenti:

Vanessa Valentine ha detto...

Forse Dio voleva compagnia nel weekend, probabile...:))))
Adoro i venerdì, ingiustamente definiti luttuosi dalla tradizione (ok, Gesù è morto di venerdì, ma se anche fosse successo di mercoledì o giovedì pomeriggio cosa cambiava??).
Il venerdì sera è la serata più bella della settimana. Puoi combinarne di tutti i colori e di solito la mattina dopo dormi e non ti ricordi niente.
Adoro quello che scrivi, Gilli, sempre, davvero.;)))))))

Gillipixel ha detto...

@->Vale: ehehehheheheh :-) non ci avevo pensato, Vale: giusto giusto per farsi un buon week-end con un compagnone mica male come Adamo :-) Concordo in pieno sul venerdì sera: è magico :-) è il moderno sabato del villaggio :-) Ha il sapore della festa, ma invece di giacca e cravatta, veste maglietta e jeans :-) E poi, lo dicono anche i Cure: Friday, I'm in love :-)

Grazie, Vale: ovviamente la cosa è reciproca: anche quello che scrivi tu me gusta siempre mucho :-)

Bacini di venerdì :-)

Marisa ha detto...

Il settimo giorno Dio si guardò intorno, vide tutte le cose belle che aveva creato e fu soddisfatto, poi il suo sguardo si posò sull'uomo, lo osservò nel suo insieme e rimase turbato, si lasciò cadere su di una soffice poltrona fatta di nuvole, infilò le mani nella folta chioma canuta e poi... si pentì! Amen

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: eheheheh :-) non è difficile che sia andata proprio così, Mari :-) ma ormai la frittata era fatta, non poteva ammettere di essersi sbagliato, così la storia si è protratta inevitabilmente fino a noi :-)

Grazie per il tuo commento particolarmente a tema :-)

Bacini soffici fatto di nuvole :-)