giovedì 31 ottobre 2013

Uòltuìtmania



Quando penso di aver scritto ormai tutte le cose che avevo da dire, faccio un giro sull’argine e mi accorgo che nella mia cartucciera c’è ancora qualche fregnaccia da sparare. Ne ho scritte tante su questo blog, anche se nel medesimo spazio, forse Tolstoj ci sarebbe stato giusto dentro con la sua lista della spesa. Ne ho scritte tante che adesso non so più se vado a raccontare una roba già detta, oppure qualcosa di nuovo.

Ma qualcuno ne doveva parlare come si deve di questa cosa, prima o poi.

L’argine è un elemento del paesaggio piuttosto importante, da queste parti. Sul suo crinale corre un filo di separazione esistenziale: di qui la ragione e la misura, di là la follia del fiume. Da qualche parte ho sentito dire che le persone nate e cresciute lungo il corso di un fiume, tanto più se di una certa portata, serbano in corpo una discreta dose di folle ineffabilità. Lo sforzo di essere ragionevoli nelle azioni quotidiane, collide di continuo con l’influsso energetico proveniente dal flusso fluviale. L’argine, nel mezzo, è un magnete di transizione fra i due estremi.

A cavallo dell’argine, mi sento in uòlt-uìtman-iana continuità con la terra (nel senso di Walt Whitman).

Qualcuno doveva parlare del micro-spettacolo che dalla cima dell’argine si può apprezzare ogni anno, più o meno di questi tempi. Perché è una faccenda tanto umile, ma al contempo così grandiosa, che immagino nessuno ne abbia mai parlato. C’è bisogno del sole radente autunnale, per poterlo notare. In altri frangenti della quotidianità, più che fornire uno spettacolo, questo elemento naturale comporta fastidi inenarrabili. Ma visto dall’argine, diventa stupore puro.

Basta un pezzo di terra arata, o ad ogni modo smossa, anche in fini zollette già pronte per la nuova semina. Lo sguardo in controluce non può fare a meno di posarsi su una miriade di fili luminosi. Migliaia, milioni, miliardi di collegamenti filamentosi intessuti fra la piccola vetta di una zolla e tutte quelle circostanti, in una trama complicata ed onnipresente, posata ovunque sul terreno, eppure semi-invisibile, se non fosse per quell’attimo in cui cade sotto la particolare inquadratura del sole proteso prono sull’umidiccia campagna.

Sono ragnatele, metri, chilometri di ragnatele. Un mantello impalpabile, eppure dalla complessità indicibile. Viene da domandarsi come sia stato possibile un lavorio del genere. Soprattutto pensando che appena poche ore prima, scrosci d’acqua violentissimi hanno dilavato il terreno con severità possente. O tutto è stato rifatto in mattinata con una celerità e un’organizzazione spaventose, oppure quell’impalcatura, all’apparenza così fragile, è in realtà una delle opere di ingegneria più gagliarde ammirabili sulla faccia della Terra.

Altro che internet, altro che “world wide web”. Ci sono più collegamenti in poche migliaia di metri quadrati di terra arata, che su tutta la rete telematica mondiale. E’ il magico “w.w.w.” dei ragni, lo strabiliante “http” entomologico, l’hiper text transfer protocol dei misteriosi otto zampe. Uno spettacolo della terra, grandioso nella sua umiltà, riservato solo a chi lo vuole davvero osservare. Tanto defilato che è persino arduo da fermare su una foto, sia per la sottigliezza fuggevole del soggetto, sia per le difficoltà aggiunte dal sole in faccia, necessario per dar risalto a quel vasto manto ragnatelato (l’immagine che riporto ha solo in parte a che fare con questo fenomeno: l’ho ritratta tempo fa, col favore della rugiada mattutina).

Osservando bene poi anche tutto l’intorno, si nota che lo stesso reticolo è posato sugli steli d’erba, le stesse liane di finissima luce si protendono da una prominenza erbacea all’altra, anche qui dando vita ad un infinitum di tessuto a perdita di riflessione solare.

Sembra così quasi che la Terra sia tutta avvolta in una palla di ragnatela, ma in pochissimi lo sanno. E forse giusto un pizzico di follia lungo-fluviale può aiutare ad accorgersene.



domenica 27 ottobre 2013

Ciao, vecchio Lou


Se la tristezza ha un qualche senso,
vale forse la pena conviverci...






domenica 20 ottobre 2013

Vecchie fughe, nuove innaturalità



Ho visto un po’ di tele. Le solite cose, spezzoni di tg, spot a raffica, servizi insulsi, blateramenti calcistici, iper-puntinismo informativo spizzicato qua e là dalle emittenti locali. Ho fatto un giretto sul balcone: tuonavano lampi possenti e scrosciava forte. Ma l’aria era calda, piacevolmente innaturale, per essere il 20 ottobre 2013.

Ho ripensato allo scrivere come privilegiata fuga dalla realtà. Lo scrivere come apertura di mondi, nell’insoddisfazione di quello che ci circonda. Lo scrittore è un fuggitivo, un nostalgico della meraviglia perduta.

Nel passato lo scrivere serviva a fuggire dalla miseria, dal dispotismo, dall’ingiustizia sociale. Si badi bene, non si trattava sempre di fuga nel senso evasivo ed ottundente del termine. Molto spesso entravano in gioco la potenza del sogno, la visionarietà dell’utopia, la contagiosità del desiderio di andare oltre, tutte robette capaci poi di tradursi in alcuni casi in vere e proprie molle di cambiamento effettivo dello stato delle cose.

Oggi, forse, uno dei più potenti motori di cambiamento può rivelarsi la tv. Se uno si ferma a rifletterci un attimo, è talmente stupido il mondo dipinto dalla tele, che il desiderio di fuga si amplifica a dismisura, fonte potenziale per i più eccelsi talenti letterari.

Il problema è che i momenti di lucidità di questo tipo sono rari, di fronte alla scatoletta ex catodica, ora elle-ci-diale. E allora uno ci sta davanti, come sul balcone, a godersi il tepore di una serata piovosa di metà ottobre. Non gliene frega che sia innaturale, iannaccianamente gl’importa solo l’effetto che fa.
 


giovedì 10 ottobre 2013

Oggi cinico

 


Alla gente piace raccontarsi palle a vicenda. E se tutto finisse qui, sarebbe anche concepibile. Ma la cosa che davvero lascia di stucco, è come sempre alla medesima gente piaccia anche sentirsi raccontar palle, pur sapendo benissimo che palle sono, e palle rimangono.

Ed è sulle palle che poi principalmente si muove tutto il baraccone.

Chi propone posti di lavoro richiede candidati con uno spiccato grado d’intraprendenza, con propensione alle relazioni sociali, buona disponibilità al lavoro di gruppo, a lunghi spostamenti, ad orari flessibili e straordinari. Chi cerca lavoro si butta a giurare e spergiurare di possedere tutte queste caratteristiche, perché a casa ha una moglie da mantenere a botte di vestiti e scarpe di Prada, viaggi in isole tropicali, settimane bianche, figli che non possono andare a scuola se non sono firmati dalla testa ai piedi, un mutuo sulla casa da pagare, la tessera al club equestre, quella allo “Sporting Spussing Exclusive”, un alano (ancora da pagare, a rate) che mangia come tre buoi, la macchina sportiva, il fuoristrada, il SUV (in leasing), tre colf, due giardinieri, un chihuahua imbufalito che morde ogni nuovo postino mandato dalle Poste, con conseguente risarcimento periodico di pantaloni e polpacci assortiti.

Ecco allora che, pur avendo l’intraprendenza di un bradipo, pur essendo magari un asociale patentato che rasenta la misantropia, pur non potendogli fregare di meno di quei coglionazzi dei colleghi che si ritroverà fra i piedi, pur odiando spostarsi ed avendo come proprio ideale una giornata lavorativa di due ore massimali, egli accetta l’impiego.

E tutto questo perché a suo tempo, pur avendo come principale obiettivo “corteggiatorio” il fulcro inguinale baricentrico (“f.i.ba.” mi pare di aver sentito che venga denominato scientificamente) del corpo della sua futura sposa, pur coltivando dentro sé immagini di vita matrimoniale costellate di interminabili serate poltroneggianti in mutande, canottiera e calzini col ditone a periscopio, davanti alla tele a vedere partite, film western e cine-panettoni, pur sognando un genere di atmosfera domestica con lui nel ruolo principale di “pantofola più lenta del West”, a suo tempo, dicevo, aveva egli giurato e spergiurato a lei di essere un romanticone fatto e sputato, roba da lasciare Lord Byron in perizoma, l’aveva chiamata “la sua principessa” scesa dal cielo in terra a miracol mostrare, aveva promesso di attraversare i sette mari, se solo la cosa fosse rientrata nei di lei desideri, mentre sotto sotto, nel suo intimo reputava già fin troppo periglioso il laghetto di pesca sportiva appena fuori città.

E tutto questo perché a suo tempo ci era piombato fra capo e collo il gran ambaradan del Romanticismo, ad infiocchettare come si deve il lavoro già iniziato dagli stilnovisti, e di seguito ancora, calando un carico da undici d’illusorietà beffarda, sono arrivati anche gli stilisti di moda. Tutti costoro avranno anche agito in buona fede e senza malizia, non ne discuto, ma sta di fatto che dopo ci siamo ritrovati ad essere pienamente convinti di quanto sia bello, nobile, giusto e doveroso, soffrire per amore, star male proprio come dei cani, e ci siamo altrettanto ritrovati nella situazione in cui, a decidere dell’aspetto esteriore e fisico delle donne, sono un gruppo di persone (gli stilisti) che normalmente ignorano la potenza gravitazionale scatenata dal “fulcro inguinale baricentrico” (“f.i.ba.” mi pare sempre di aver sentito che venga denominato scientificamente) del corpo femminile.

A volteggiare come cupi “Nazgûl della Palla” sopra le desolate lande della nostra Mordor d’illusorietà, vengono poi i politici, i dirigenti, i manager, i banchieri e gli economisti. Questi sono tutti indaffarati a far calare sul mondo la “Buia Notte della Grande Palla”. Tutti accecati anch’essi dall’abbagliante fiamma del “fulcro inguinale baricentrico” (“f.i.ba.”, continuo a sentir dire in giro che viene denominato scientificamente) fuoriuscente con immenso sfavillio dai più eclatanti esemplari di individui femmina disponibili al mondo, essi infarciscono l’etere terrestre al completo di immani palle cosmiche.

Per questo i politici, i dirigenti, i manager, i banchieri e gli economisti, pur non avendo per nulla a cuore lo spiccato grado d’intraprendenza, e nemmeno fregandogliene una surclassante fava della propensione alle relazioni sociali, pur scarseggiando in loro la simpatia per la buona disponibilità al lavoro di gruppo, a lunghi spostamenti, ad orari flessibili e straordinari, pur non avendo niente di tutto questo e non reputandolo nemmeno poi così importante, essi hanno sempre una soluzione per tutto, sanno sempre qualsiasi cosa, capiscono sempre ogni problema, sanno affrontare ogni difficoltà, sono in grado di sapere come si evolverà la società in futuro, sanno consigliare le migliori scelte da fare, giurano e spergiurano di essere capaci persino di raddrizzare le banane, nel caso servisse.

Ma forse….

Ma forse, in un giorno remoto di un lontanissimo futuro, magari proveniente dalle schiere dei nobili Raminghi del Nord, oppure sbucato fuori dai fieri rappresentanti della regale razza Nùmenoreana, giungerà fra noi un politico, un dirigente, un manager, un banchiere o un economista, che ci rivelerà l’«inaudito», ci sbalordirà con l’«impronunciabile», sussurrando dimessamente la rivoluzionaria sentenza: «…Ragazzi, mi dispiace, questa cosa proprio non la so…questo problema non son capace di risolverlo, vediamo di cavarcela un po’ come possiamo…».

E allora, sulla scia di questo sbalorditivo evento, magari si squarcerà nel cielo immenso, l’insistente velo della Palla Universale, ed ogni uomo accorrerà ai piedi della propria donna, declamando a gran voce: «…Perdona, amore, ma a me, veramente, è sempre interessata solo e soltanto la f.i.ba…». E lei risponderà: «…Ma l’ho sempre saputo, caro, figurati…D’altra parte, a me sono sempre interessati solo e soltanto le scarpe ed i vestiti di Prada…». E lui penserà fra sé e sé: «…Ah! E io che credevo fosse attratta dalla mia buona disponibilità al lavoro di gruppo, ai lunghi spostamenti e agli orari flessibili…», ma questo sarà solo un dettaglio transitorio, perché nel frattempo lei avrà già aggiunto: «…Forse però, da oggi in poi, potremo volerci bene in un altro modo…».

Fino a quel giorno, tuttavia, le immense “Forze Oscure di Pallonia” continueranno ad imperversare per tutto il pianeta, e ogni cosa persisterà nel gravitare attorno alla potenza magnetica del “fulcro inguinale baricentrico” femminile (“f.i.ba.”, sento ancora insistentemente dire in giro che viene denominato scientificamente), equilibrata dalla forza uguale ed opposta dei vestiti e delle scarpe di Prada. E sempre fino a quel giorno, probabile che il più sincero di tutti, rimarrà il chihuahua imbufalito che, con estrema coerenza ed onestà intellettuale, si ostinerà sempre a mordere ogni nuovo postino mandato dalle Poste.
 


sabato 5 ottobre 2013

Cappottiamoci



Oggi niente parole.
Solo Musica.
Chi vuole, può cappottarsi sulla sedia per la bellezza.
Gli altri, stiano pure comodi...






"Nightswimming"


Nightswimming deserves a quiet night

The photograph on the dashboard taken years ago,
turned around backwards so the windshield shows.
Every street light reveals a picture in reverse
Still it's so much clearer

I forgot my shirt at the water's edge
The moon is low tonight

Nuotare di notte, merita una notte quieta
La foto sul cruscotto, scattata anni fa
Girata dall’altra parte, così che si veda dal parabrezza
Ogni lampione rivela un’immagine a rovescio
Eppure è molto più nitida
Ho dimenticato la mia camicia sulla riva
La luna è bassa stasera


Nightswimming deserves a quiet night
I'm not sure all these people understand
It's not like years ago
The fear of getting caught
Of recklessness
Of water
They cannot see me naked
These things they go away
Replaced by every day

Nuotare di notte, merita una notte tranquilla
Non sono sicuro che tutta questa gente capisca
Non è come anni fa
La paura di essere beccati
Dell’imprudenza
Dell’acqua
Non possono vedermi nudo
Queste cose scorrono via
Rimpiazzate dalla vita di tutti i giorni


Nightswimming,
remembering that night
September's coming soon
I'm pining for the moon
And what if there were two
Side by side in orbit around the fairest sun?
The bright tide forever drawn
Could not describe nightswimming

Nuotare di notte,
Ricordando quella notte
Settembre arriverà presto
Mi sto struggendo per la luna
E se ce ne fossero due
Fianco a fianco in orbita intorno al sole più splendente?
La marea brillante, per sempre disegnata
Non potrebbe descrivere il nuotare di notte


You, I thought I knew you
You, I cannot judge
You, I thought you knew me
This one laughing quietly
Underneath my breath
Nightswimming

Tu, che pensavo di conoscere
Tu, che non posso giudicare
Tu, che pensavo mi conoscessi
Stavolta ridendo piano

Sottovoce
Nuotare di notte


The photograph reflects
Every street light a reminder
Nightswimming
Deserves a quiet night
Deserves a quiet night

La foto si riflette
Ogni lampione me lo ricorda
Nuotare di notte

Merita una notte calma
Merita una notte calma


 

venerdì 4 ottobre 2013

Nessun merito

 
 
Quando succedono tragedie terribili come quella di ieri, sulle soglie di casa nostra, vengono da farsi mille domande. Ma quella che alla fine mi sembra sempre più giusto porsi, è questa: che merito ho io di aver avuto in sorte di nascere 2000 o 3000 km più a nord di loro? E la risposta è sempre la stessa: nessun merito. Proprio nessuno.
 
 Forse è da questa considerazione che ogni discorso riguardante l'argomento dovrebbe cominciare.