giovedì 14 aprile 2016

"Un pensiero al giorno" 22 - "Il mio regno per un po' d'umano"

"Un pensiero al giorno"

22 - "Il mio regno per un po' d'umano"

Per dirla con locuzione un filo usurata, talvolta "mi sorprendo" a guardare programmi televisivi davvero scadenti.

Mi sorprendo proprio, perché colgo me stesso nel mezzo della visione e mi domando: ma perché guardo questa roba?

Per fortuna non capita spesso. Di solito prediligo qualche bel film, o cosette culturali su raistoria o rai5. Ma poi vengo attirato anche da certo ciarpame tipo aste di box pignorati e banchi dei pegni vari. Eppure perlopiù i vari personaggi passati in rassegna sono antipatici (per usare in eufemismo), le situazioni sono odiose, spesso e volentieri costruite ad arte. Come mai allora scatta la molla attrattiva?

Le motivazioni saranno tante e variamente sfumate. Credo tuttavia che un po' tutte le tipologie di trasmissioni classificabili sotto l'etichetta di "reality", contengano ingredienti della narrazione in grado di far leva soprattutto sul desiderio di "condivisione umana" nutrito dal pubblico.

Sempre ammesso che sia così davvero, non sembra tanto una buona cosa. La gente ha bisogno di contatto con gli altri, di interazione, di condividere sentimento, emozione, vicinanza, empatia. Ma questi obiettivi si sono fatti ardui da raggiungere, in generale. Un po' per come si sono andate strutturando le dinamiche sociali. Ma chissà, forse no. Non saprei, forse è sempre stato così in ogni epoca attraversata dall'uomo. Forse le difficoltà di relazione sono mutate nella forma, ma rimaste costanti nella sostanza lungo i secoli.

Di fatto, ci si "affeziona" a questi personaggi, anche se parecchio antipatici. Gente che dal vero eviteremmo come un acquazzone con grandine, ci diventa familiare, gradiamo rivederla giorno dopo giorno. Forse (il forse è un leitmotiv d'obbligo per questo mio pensiero odierno) la nostra necessità di umano è talmente vasta, che ci vanno bene pure loro.

Ma non bisogna dimenticare che si tratta sempre di un contatto "simulato". Non si ha a che fare con vere persone, caratteri e presenze concrete, bensì con loro "larve" effimere rappresentate. Il bisogno di umano infatti si accompagna inesorabilmente anche a un contraddittorio e compresente timore per l'umano.

L'umano reale è difettoso, ci impegna, costa fatica nel confronto, obbliga a mettersi in gioco, a sacrificare convinzioni e parti di sé.

L'umano "televisivizzato" invece è più facile, non richiede sforzo, ci viene servito bello e confezionato, lo consumiamo e chi s'è visto s'è visto.
Anzi, se si tratta di individui rognosi, quasi respingenti, tanto meglio. Per un perverso motivo inconscio, è così.

Forse (ancora forse) perché uscire indenni da un'interazione personale con soggetti che nella realtà ci metterebbero in estrema crisi, in qualche modo ci gratifica. O forse ancora, perché siamo attratti da tutto l'umano, anche dai lati più squallidi, e in sede televisiva è possibile consumare la propria dose omeopatica di squallido, assumendone solo i componenti più innocui.



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