sabato 7 maggio 2016

"Un pensiero al giorno" 44 - "Oggi m'irraggio"

"Un pensiero al giorno"

44 - "Oggi m'irraggio"

Difficilmente si contempla la ruota della propria bici. Se l'ho fatto, è perché mi è caduto l'occhio su un raggio rotto.

Dopo aver valutato a mente l'eventualità di ritrovarmi col culo per terra alla successiva pedalata, il pensiero ha finito per scivolarmi sopra la poesia dei raggi.

Perché tutta l'idea che sostiene la ruota per mezzo dei raggi è una faccenda molto poetica. Anche e soprattutto tecnica, d'accordo. Ma di quella tecnica che fa della funzionalità formale il proprio tramite verso un'asciuttezza estetica a suo modo commovente.

Cos'è che alla fine combinano i raggi? Al centro, lo sappiamo tutti, c'è il perno avvitato alla forcella. Lì si condensa il vero nucleo rotante. Compito dei raggi è assumere su di sé questa "rotabilità" e trasmetterla alla periferia della ruota, passando dal cerchione sino alla gomma.

Attenti che qui arriva il puro stupore. Ogni raggio non si va a conficcare banalmente nel perno puntando al centro della circonferenza. No: i raggi lavorano invece a piccole squadre di due. Disponendosi con regolarità tutto intorno al perimetro del perno, lo avvolgono di mini-abbracci a coppia. Ogni duetto di raggi si ancora infatti tangenzialmente alla circonferenza del perno, in punti di contatto opposti sul diametro.

Lo scopo non è nient'altro che la leggerezza, il minor ingombro, la riduzione di superficie da opporre magari al vento. A pensarci, è stupendo: i raggi trasmettono forza dal perno alla gomma, ma lo fanno scegliendo il percorso essenziale. Scartano tutto l'orpello e il superfluo, per far incanalare la forza lungo le sole direttrici che servono. Il resto lo restituiscono a chi di competenza, ossia al "regno dell'aria". Si imbevono del succo della forza e lo nobilitano con un equilibrio perfetto.

Trovo tutta questa cosa dei raggi una questione molto zen. Siamo forse troppo abituati a considerare il "pensiero" come un'entità che si forma nelle nostre menti. Ma la saggezza di Parmenide ("aurorale", secondo la bellissima definizione di Martin Heidegger) già ci spiegava come pensiero ed essere siano una cosa sola. Ecco allora che l'idea dei raggi sarà venuta un bel giorno a qualche geniale meccanico di bici, ma essa era già presente nel mondo. Da sempre.

Così come "l'idea" delle api di fare cellette esagonali per equilibrare al massimo l'alveare, oppure l'idea della conchiglia "Nautilus" di sviluppare le sue spire secondo una cadenza numerica ben precisa e nota come sequenza di Fibonacci (dall'illuminato matematico medievale italiano che la teorizzò).

In tante circostanze della vita che ci accadono, il modello offerto dai raggi potrebbe essere illuminante. I raggi ci insegnano a cogliere un'economia dell'esistere in grado di farci entrare in sintonia con l'essenziale. Ciascuno, andando col ricordo a tanti accadimenti del passato, potrà facilmente ammettere di aver dato troppo spazio e troppo spesso alla pesantezza delle scelte.

Quante volte ci siamo ritrovati a riempire con goffo ingombro tutta l'area della ruota, senza accorgerci che si poteva invece succhiare solo la grazia più rarefatta del cerchio. Così come i raggi, con la loro elegante sapienza, sono lì per dirci, insieme a Aldo Busi, nel meraviglioso incipit del suo "Seminario sulla gioventù":

"...Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo a un risolino di stupore, stupore di essercela tanto presa per così poco, e anch'io ho creduto fatale quanto si è poi rivelato letale solo per la noia che mi viene a pensarci. A pezzi o interi, non si continua a vivere ugualmente scissi?...".

Scissi appunto, ma nel modo dei raggi della mia bici...



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