domenica 19 giugno 2016

"Un pensiero al giorno" 84 - "Chi dorme non piglia pesci...in faccia"

"Un pensiero al giorno"

84 - "Chi dorme non piglia pesci...in faccia"

È inutile che giriamo tanto intorno al discorso. Chi vuol essere onesto e coerente con se stesso, lo deve ammettere: dormire è una delle attività più belle del mondo.

Col tempo però ci si accorge che le modalità del ronfare e la qualità del sonno, mutano nelle loro caratteristiche. Cambiano aspetto, diventano un'altra cosa.

Si vede che proveniamo dal regno del sonno, individuabile grosso modo col periodo trascorso nella pancia della mamma. Perché più ci si trova vicini a esso come età, più si ha familiarità col dormire. Ricordo che da bambino e da ragazzo, potevo quasi dormire a comando. Se ne avevo bisogno, mi mettevo lì, ovunque mi trovassi, anche con rumori intorno, nel caso, e mi addormentavo.

Soprattutto di ritorno dal campo sportivo, dopo un'estenuante partitella a calcio di tre ore o più. Ho fatto i sonni più meravigliosi, date simili premesse. Era un dormire fragrante, pieno, pastoso, dolcemente vischioso. Magari in autunno, che fuori faceva già freschino, con ancora addosso tuta e maglione usati a giocare, sul divano, nel tepore ammaliante della stufa. Un'ora di sonno prima di cena, e mi svegliavo con l'impressione di essermi addormentato un secolo prima.

Forse, si conserva una "capacità idilliaca" del sonno, fino a quando non ci si rende conto che al mondo esistono anche le levatacce e le ore notturne. Per lungo tempo, queste due nozioni sono mancate totalmente dalla mia consapevolezza. La notte per me era soltanto un batuffolo oscuro, una stanza felpata nella quale ti immergevi verso le dieci di sera e dalla quale uscivi intorno alle otto del mattino, senza sapere assolutamente nulla di cosa ci fosse di mezzo.

Alcuni ricordi di situazioni buffe, ma al tempo stesso irritanti, sono legati alle volte che mi addormentavo davanti alla televisione. Mi succedeva spesso guardando leggendari film classici americani in bianco e nero, magari con quel cattivone di Edward G. Robinson, o fra le gioviali atmosfere imbastite da Danny Kaye. Non perché non fossi affascinato da quei fotogrammi incantati. Tutt'altro: mi ammaliavano invece fin nel profondo delle mie fibre immaginifiche. Ma allora era il sonno a dettar legge. Quando voleva imporsi, c'era poco da fare, del tutto inutile resistere. Il sonno televisivo infantile era una certezza, raramente uscivo vincente dal confronto.

I guai venivano col risveglio forzato a fine film, che inevitabilmente dovevo subire per venir trasbordato a letto. La sensazione provata in quegli attimi era di una complessità assoluta: fastidio e irritazione a mille per aver perso il film e il filo del sonno insieme; auto-rimprovero per l'inettitudine a stare sveglio; fiacchezza fisica oltre la barriera del suono della pigrizia, che alzarsi dal divano pareva sul momento la tredicesima fatica di Ercole; incazzatura verso chi mi aveva svegliato, della quale coglievo anche tutto il non-senso, insufficiente tuttavia a cancellare quel gran soqquadro d'umore che avevo in corpo.

Insomma, anche se poi si continuano a fare sonni sopraffini anche da grandi, non ho più dormito con quella qualità di grado superiore di cui ero capace da bimbo. Da quando ho scoperto che esistono brutture come le alzatacce alle sei, o orari remotissimi e astrusi come le tre di notte (che pure, per altri versi, può essere un bellissimo momento da trascorrere vegliando), niente è più stato uguale.


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