mercoledì 22 giugno 2016

"Un pensiero al giorno"

87 - "Le storie al Erosicoto"

Fra gli Scleroti, una popolazione che colonizzò l'altopiano di Zebonia cinque secoli prima delle guerre scoppiate per il controllo sul commercio del "Fieno furbetto", era usanza celebrare ogni anno una cerimonia, conosciuta col nome di "Oi boiòn ze Minchiardòn", che si potrebbe tradurre come "La festa del minchiettone".

Durante i giorni dedicati a tale celebrazione, tutti gli adulti maschi erano invitati a incidere una frase intelligente, su una tavoletta di cera, siglandola sotto col proprio nome. Per gentilezza e rispetto, dalla prima parte del gioco erano escluse le donne, che però potevano ampiamente partecipare, e con gran divertimento, ai momenti conclusivi, come vedremo.

Ogni scrivente sulla cera depositava la sua frase in una tenda. Quando ognuno aveva scritto, un banditore, stando sull'ingresso della tenda, leggeva a voce alta ogni frase a tutto il popolo riunito in piazza. Ascoltando una sentenza dopo l'altra, la gente finiva per acclamare il "gran cretino sacrificale", il quale altri non era che l'autore della frase giudicata più stupida di tutte.

A questo punto, costui doveva stabilirsi per tre giorni e tre notti nella stessa tenda (ormai svuotata dalle tavolette) e rimanere a disposizione di chiunque avesse avuto voglia di andare da lui a raccontare qualcosa, a insegnargli una sua idea, a sostenere opinioni, ad assillarlo con sue ossessioni, a insultarlo, a sfogarsi, e così via.

Tutti potevano entrare nella tenda, e parlare al cretino, uomini, donne, bambini, vecchi, purché fosse una persona per volta. Il cretino doveva stare ad ascoltare e basta, accettando ogni trattamento a parole, ed eventualmente dicendo qualcosa solo se interpellato.

Questa festa, all'apparenza bizzarra, ebbe per lungo tempo una sua funzione di calmiere sociale. La veste di "gran cretino sacrificale" (una tunica rossa, che lasciava il sedere scoperto) poteva infatti essere indossata anche dai notabili fra gli Scleroti. Per scegliere la frase più stupida era decisivo il voto del popolo, che poteva giudicare malamente affermazioni scritte anche dai più importanti cittadini.

La cerimonia prevedeva poi una regola di ricompensa. Il cretino di turno aveva la possibilità di giocarsi tre frasi aggiuntive, con altrettante leggiadre ragazze o signore, che fossero andate a visitarlo nella tenda. Se l'ospite femminile avesse apprezzato la frase in questione, esprimendolo chiaramente al cretino, secondo il cerimoniale della festa, era anche segno che la donna acconsentiva a giacersi col suddetto padrone temporaneo della tenda.

In quei casi, con sommo diletto dei due, la fortunata prescelta (la quale si era in realtà auto-prescelta) si premurava di sfilare la tunica al cretino, pronunciando, con un gran sorriso sulle labbra, la frase di rito prevista dal cerimoniale: "...E chiamalo cretino!...".

L'uomo si ritrovava così completamente denudato di fronte a lei, la quale, prima di passare a fare ciò che non stava ormai più nella pelle dalla voglia di fare, provvedeva a esporre fuori dalla tenda la tunica rossa, curandosi che l'apertura sul didietro fosse rivolta verso la strada, con dentro in bella mostra un culo di legno. In questo modo, chiunque fosse passato davanti alla tenda, avrebbe dovuto pronunciare la relativa formula d'invidia: "...Ascolta un cretino!...".

Come si può capire insomma, il titolo di cretino era nello stesso tempo temuto e ambito dagli uomini di quel popolo, e fino a quando "La festa del minchiettone" rimase un'usanza cara agli Scleroti, regnò fra loro la concordia.

Fu la scoperta del "Fieno furbetto" a guastare ogni cosa. Gli Scleroti si accorsero che una certa erba, bollita e assunta sotto forma di decotto, aveva la proprietà di donare una grande sensazione di euforia. Passato l'effetto piacevole, tuttavia, sempre quell'erba trasformava il suo assuntore nel più insopportabile saputello del mondo. E questa fu in pratica la fine dell'epoca felice degli Scleroti, che un tempo vivevano benissimo con un cretino all'anno per tre giorni, ma poi non gliene bastarono più neanche mille per ogni giorno dell'anno.


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